Il presente articolo è la traduzione in italiano di quello originale in inglese "'HOPPER/WELLES': THE NEW HOLLYWOOD STRIKES BACK" pubblicato dall'autore sul sito Wellesnet.com: https://www.wellesnet.com/hopper-welles-new-hollywood-review/
Sarebbe importante che il produttore Filip Jan Rymsza riuscisse a trovare un distributore per questa gemma emersa dallo scrigno filmico di The Other Side of the Wind per consentire ai cinefili italiani di poter vedere com'era l'ambiente della New Hollywood nel 1970. Un documentario che Ciro Giorgini avrebbe certamente fatto di tutto per mandare in onda su Fuori Orario: cose (mai) viste, la trasmissione culto della RAI. Hopper/Welles (2020) è uno strano oggetto wellesiano come sempre di difficile classificazione. Ufficialmente, infatti, si tratta di un documentario-intervista, ma è davvero molto di più. Dimenticate le celebri interviste come quella di François Truffaut a Hitchcock o quella di Peter Bogdanovich a John Ford o quella di William Friedkin a Fritz Lang: inizia come un'intervista, ma si trasforma, quasi immediatamente, in una sorta di dialogo socratico tra un giovane allievo e il suo mentore. Ma soprattutto non è un giovane regista a dialogare con il maestro, ma il contrario, in uno di quei giochi di specchi a cui Welles ci ha spesso abituato. Girato con lo stile “cinéma vérité”, ha le caratteristiche di un documentario antropologico che registra in maniera impietosa e oggettiva le debolezze e l'umanità di un giovane regista proveniente dell'immensa provincia americana che ha deciso di diventare un regista cinematografico e si è trovato a dover gestire un successo planetario che lo ha travolto: questo è il ritratto di Dennis Hopper, il regista del film culto Easy Rider (1969), che emerge da Hopper/Welles.
Nel novembre 1970, la data della realizzazione delle riprese di questo documentario, Welles aveva iniziato la lavorazione di The Other Side of the Wind e voleva che molti personaggi di spicco del cinema e dello spettacolo comparissero nella parte di se stesso nel film: aveva addirittura immaginato di coinvolgere John Lennon e inserirlo nel film. Dennis Hopper era riuscito con Easy Rider (1969) a sconquassare le regole del cinema hollywoodiano e Welles pensava fosse l'icona cinematografica più rappresentativa di quella Nouvelle Vague statunitense che affollava la festa in onore del regista Jake Hannaford, il protagonista di The Other Side of the Wind. Per realizzare le riprese di questo incontro, Welles aveva invitato Dennis Hopper, che stava lavorando a Taos in New Mexico al montaggio del suo secondo film Fuga da Hollywood (1971), nella sua sua casa di Los Angeles.
Il poster di Hopper/Welles disegnato da Tony Stella
Hopper/Welles ha l'aspetto informale, tipicamente anni Settanta, di un resoconto audiovisivo di una discussione tra un gruppo di persone che hanno scelto di passare una serata insieme: non c'è uno schema da seguire e tutto è lasciato all'improvvisazione dell'hic et nunc. All'inizio, ad esempio, vediamo Hopper che mangia un piatto di pasta e parla con gli altri presenti, tutti giovani amici di Gary Graver, cercando di rispondere alle domande poste da Welles, sempre nascosto agli occhi della cinepresa: non vedremo mai il volto del regista durante tutto il documentario. Nelle due ore e mezza di incontro, Dennis Hopper e Orson Welles parlano davvero di tutto. Un autentico flusso di coscienza in cui i due cineasti si scambiano opinioni sul cinema europeo (Bunuel e Antonioni soprattutto, ma anche Stanley Kubrick e Sergej Ėjzenštejn), di magia e religione in rapporto alla creazione di film, di Amleto e Cristo, di rapporti conflittuali familiari e di politica e rivoluzione. Se non fosse un documentario sembrerebbe quasi una seduta psicanalitica. Welles, infatti, dopo alcune domande classiche riguardanti alcuni aspetti realizzativi relativi a Easy Rider o facendosi descrivere i passaggi narrativi di Fuga da Hollywood, incomincia a dialogare con Hopper su altri temi. Welles è abile nel porre domande che esulano dal contesto del lavoro di cineasta e nello stimolare Hopper a ragionare su questioni astratte. Il regista cinematografico, capace di creare pioggia o sole a suo piacimento, è paragonabile a un mago/stregone o a un Dio? Che cosa rende un film un'opera frutto di una visione personale del suo creatore? Si può fare politica quando si realizza un film come Easy Rider? Le risposte a queste domande mostrano alla macchina da presa un Dennis Hopper impacciato ma al tempo stesso affascinato dalla cultura di Welles e dalla sua sofisticata dialettica. Molto eloquente è il momento in cui Hopper, pressato da Welles sulla necessità di esprimere più chiaramente le sue posizioni politiche, reagisce come uno studente di liceo che non ha studiato bene a casa per l'interrogazione. Non sapendo come rispondere alla fine il regista di Easy Rider si difende dicendo “Sto ancora facendo film. Non sono un marxista-leninista e non sono John Wayne. Sono in mezzo alla strada, al fiume ”.
In almeno due passaggi del documentario qualcuno potrà avere la sensazione che Welles non sia da solo a porre le domande a Hopper. Mentre il giovane regista confida ai presenti di non aver avuto una infanzia felice, una voce diversa da quella di Welles, chiede al giovane regista “Cosa l'ha resa infelice?”. Chi ha posto questa domanda? A mio modesto parere, non si può escludere che questa voce provenga da Bert Schneider, il produttore di Easy Rider e di altri grandi film della New Hollywood. Ci sono almeno due scene in cui è lecito pensare che questa deduzione sia giusta. Nel primo Hopper, guardando fuori campo, indica qualcuno che ha gli occhi azzurri e che potrebbe essere perfetto per interpretare il ruolo di Cristo, dicendo: "Schneider dovrebbe interpretare Cristo!". Infine, a metà del documentario, Welles dice “Poco prima di partire, Bert Schneider mi ha detto «Chiedigli perché Henry Fonda lo ha definito un idiota »”, come se il produttore avesse appena lasciato la casa di Welles. Per capire a cosa si riferisse Schneider con questa domanda, invito i lettori a leggere l'inizio dell'eccellente saggio di Josh Karp sulla realizzazione di Fuga da Hollywood: https://www.esquire.com/entertainment/movies/a23287946/the-last-movie-dennis-hopper/
Non aggiungerò altri dettagli per non rovinare la visione del documentario ma sono necessarie alcune piccole annotazioni sul creatore di Hopper/Welles.
Il lavoro di Bob Murawski nell'assemblare (non montare) i materiali grezzi girati da Gary Graver in un ruvido 16mm in bianco e nero è stato molto rispettoso del lavoro di Welles. È davvero apprezzabile che il montatore abbia scelto di inserire nei titoli di coda del documentario l'insolita dicitura “Cutter” e non “Editor”, un'opzione linguistica che dimostra la modestia con cui Murawski ha voluto lavorare con i materiali filmici a disposizione. Questo approccio mi ha ricordato non solo la scelta visiva usata da William Friedkin nel montare la sua intervista a Lang (vediamo sempre i ciak in campo nel corso di tutto il documentario), ma soprattutto quella realizzata dagli amici de Le Giornate del Cinema Muto di Pordenone quando hanno scelto di non interferire in alcun modo nel montaggio provvisorio di Welles per proiettare la copia lavoro di Too Much Johnson nell'ottobre 2012.
In conclusione vorrei guardare e discutere di questo straordinario documentario con qualcuno che ha vissuto quel momento storico: avevo in mente diverse persone che possono soddisfare questo desiderio e spero di poterne parlare con loro il prima possibile. A tal fine spero che Hopper/Welles venga distribuito al più presto in qualsiasi forma: nelle sale cinematografiche o in forma digitale su internet.
Un ringraziamento speciale a Filip Jan Rymsza e Ray Kelly che hanno reso possibile la visione di Hopper/Welles
SCHEDA
HOPPER/WELLES
Director: Orson Welles
Producer: Royal Road Entertainment (Filip Jan Rymsza)
Co-producers: Grindhouse Releasing (Bob Murawski) and Fixafilm (Wojciech Janio)
Executive producers: Jon Anderson, Jonathan Gardner
Cast: Dennis Hopper, Orson Welles with Janice Pennington and Glenn Jacobson
Director of photography: Gary Graver
Cutter: Bob Murawski, a.c.e.
Assistant editor: Dov Samuel
Camera operators: Gary Graver, John Willheim
Assistant camera: Connie Graver
Gaffer: R. Michael Stringer
Sound: Bob Dietz, Jussi Tegelman
Title design: Garson Yu
Running time: 130 minutes