EDITORIALE
In questa nuova sezione intendiamo aprire un “discorso” di ampio respiro su una vexata quaestio: il cinema in quanto arte, come può essere definito (e quindi sottoposto al giudizio critico)? Nella stessa questione però, implicitamente, se ne evidenzia subito un’altra: data la natura particolarmente complessa dell’arte cinematografica, come definire (e quindi sottoporre a critica) i suoi rapporti con tutte le altre arti? La dellavolpiana Critica del gusto (1960) è il nostro punto di riferimento fondamentale. Punto di riferimento che, Della Volpe (vedi foto a fianco) docet, non possiamo non trattare criticamente. Al di la di questo, il titolo della sezione vuole indicare una prospettiva molto più ampia. Innanzitutto, andando a ritroso storicamente, si va a ripensare il contributo del fondatore della critica estetica moderna, Immanuel Kant, il quale però rimanda, implicitamente, alla discussione illuminista sul gusto, dove troviamo in primis lo scettico David Hume e poi lo scrittore drammaturgo E.G. Lessing, l’iniziatore geniale della grande discussione non ancora (oggi) conclusa sul Laocoonte. Una prospettiva molto più ampia del lavoro che intendiamo fare va sotto il nome di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, innanzitutto come cineasta, ma anche come quel grande teorico, studioso e scrittore che si sta scoprendo in questi anni. Inoltre, non dimenticando che, nel consumo dell’arte cinematografica, è dominante l’approccio complessivo, l’altro elemento fondamentale di prospettiva è dato dalla GESTALTTHEORIE e, in modo particolare, dai contributi di ricerca di Rudolf Arnheim. Il grande studioso della percezione visiva è stato anche il primo geniale e appassionato commentatore del lessinghiano Laocoonte, mettendo in evidenza il nesso con la discussione sulla specificità del linguaggio cinematografico e la definizione della settima arte. Dunque questi sono i nostri principali punti di riferimento. Infine, se guardiamo alla sostanza formale di una moderna “critica del gusto”, nella sua genericità del senso comune, ci rendiamo conto che non è possibile porre dei limiti alla prospettiva di una ricerca critica di prospettiva.. Di conseguenza siamo aperti a tutte le possibili prospettive, certo quando seriamente fondate, anche se radicalmente alternative.