Menzione Speciale al Pesaro Film Festival 2019 “per l’originalità e la grazia con cui coniuga una dimensione particolare con una dimensione universale”
Noi siamo fatti per stare in costante movimento:
la terra ferma è per i morti
di Yashaswini Raghunandan (foto di Monica Macchi)
Ascolta qui il percorso atipico della regista:
Fiction con stilemi del documentario in un continuo rimando tra materialità ed ultraterreno, pellicola e digitale, luce artificiale dei televisori e buio della natura, luna e nuvole, in un caleidoscopio tutto virato sui toni del rosso.
Ascolta qui come è nata l’idea del film:
presentato nella sezione “Bright Future” all'International Film Festival di Rotterdam
Al confine orientale tra India e Bangladesh vi è una regione poverissima dove si trova il villaggio di Daspada, conosciuto per la sua economia parallela basata sull’ingegno del falso. Così, recuperando e riciclando bastoncini di bambù, argilla, plastica, fili, vengono prodotti oggetti coloratissimi che sembrano alieni finché non vengono assemblati con vecchie bobine da 35 mm di film di Bollywood - industria cinematografica che dal 2006 è passata al digitale mandando appunto al macero le pellicole.
Ascolta qui cosa rappresenta Bollywood e il rapporto di amore-odio della regista per questa industria cinematografica:
Il risultato sono pigne accatastate di giocattoli tutti diversi che, in omaggio all’imprevedibilità del lavoro manuale, quando vengono roteati emettono vari suoni attraverso le perforazioni di fotogrammi della pellicola tagliata a caso.
Raghunandan interseca queste sequenze con schegge di vita quotidiana cogliendo frammenti di conversazione e altri riti (il thè, le visioni collettive attorno a un unico televisore, i compiti svolti alla luce delle candele…) inserendoli in macro-questioni che l’India contemporanea sta affrontando, tra cui le molestie sessuali e lo sfruttamento minorile.
Ma l’intera vita quotidiana viene sconvolta da un evento epocale: la Red Moon, l’eclissi di luna che i bambini interpretano come un rubino tra gli alberi, un messaggio ultraterreno che vira tutto il film al rosso prima del buio totale che inghiotte ogni altra fonte di illuminazione, in un’immensa camera oscura.
Le inquadrature rettangolari - che richiamano la pellicola in un film girato in digitale, dove compaiono, all’improvviso e del tutto casualmente, volti di attori di Bollywood; immagini non sempre spiegabili razionalmente o in modo didascalico; un montaggio che distorce, sfoca e sovrappone strati visivi e le gamme cromatiche legate a doppio filo al rosso e alle sue sfumature rendono questo film un caleidoscopio asimmetrico e sperimentale sulla costruzione di senso. Senso che nasce dalle connessioni dell'individuo con lo spazio ma che può essere anche assegnato in modo arbitrario e creativo esattamente come fanno le persone che dal riciclo creano e attribuiscono un nuovo significato, una nuova forma e una nuova vita.
L’arbitrarietà si ritrova ovunque a partire dall’occhio, colpito dal capovolgimento di forme e colori: la regista infatti si è fatta ispirare e guidare prima dagli artigiani che graffiando la pellicola, legandola, curvandola le conferiscono una particolarissima dimensione sonora e poi dalle consistenze di una carta appallottolata che da lontano ti attira con un bagliore e poi man mano che ci si avvicina, ti stupisce con diverse consistenze e ti permette di accorgerti che c’è molto altro.
Ascolta qui le diverse tecniche utilizzate:
E le diverse consistenze permettono di accorgersi anche di quello che non c’è stato: l’esistenza e la post-esistenza delle bobine che alimentano una nuova narrazione cinematografica ma anche la torre di bambù creati dagli abitanti per vedere la Red Moon, un oggetto ed un luogo non meglio identificato dove chiedersi: “come sarebbe potuto andare”? E del resto sarebbe stato certamente un film diverso e un destino diverso con l’eclissi ma quella nuvola non se ne è mai andata….