La retrospettiva della 53° Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro è stata dedicata allo spagnolo Pedro Aguilera, che senza aver studiato cinema (e anzi sconsigliando di farlo!) è stato assistente alla regia del messicano Carlos Reygadas nel film “Batalla en el cielo”, in corsa per la Palma d’oro al Festival di Cannes andata poi a L’enfant dei fratelli Dardenne e indicata tra i trenta film imperdibili del primo decennio del XXI secolo dalla rivista Sight&Sound (Carlos Reygadas ha poi vinto la Palma d’oro nel 2012 con il film Post Tenebras Lux). Aguilera ha esordito come regista con il lungometraggio La Influencia, presentato nella Quinzaine des Réalisateurs di Cannes nel 2007, per girare poi Naufragio nel 2011 ed il recentissimo Demonios tus ojos del 2017.
Si tratta di tre pellicole molto diverse nella forma ma che trattano tutte di naufraghi e cannibali ritratti nel momento in cui perdono la loro purezza ed innocenza, personaggi distruttivi e auto-distruttivi che vogliono disintegrarsi e sparire.
Come ha più volte argomentato Aguilera, il suo obiettivo è sperimentare mettendo la forma nata da un’intuizione al servizio del contenuto, per realizzare film sempre diversi…al contrario di Kaurismaki in cui la forma è la base.
Così in La Influencia la telecamera fissa e i molti piani sequenze servono proprio a far concentrare lo spettatore su dettagli e cambiamenti, anche impercettibili, di un inesorabile deterioramento mostrato non come negativo ma come naturale, cornice realizzativa assolutamente sobria che enfatizza l’influenza della depressione di una madre single nella vita dei suoi figli. Gli attori non sono professionisti ed inoltre costituiscono un vero nucleo familiare nella vita reale: per questo il regista ha deciso di non svelare l’intera storia né il significato finale a Paloma che sapeva solo di un ruolo che avrebbe messo in evidenza dolore ed un senso di vulnerabilità e fragilità estrema. Questo stratagemma ha permesso di incarnare un personaggio perso, confuso, pieno di frustrazione e costantemente contraddittorio.
Naufragio si allontana invece dal realismo sociale del sottoproletariato di un sobborgo di Madrid per aprirsi su mistica, miti arcaici, temi spiritual-animisti che rendono la pellicola una sorta di rituale simbolico e simbolista. Un migrante si ritrova sulle coste della Spagna con uno zainetto (da cui poi tirerà fuori amuleti, cristalli e pietre) e si ritrova in una serra a raccogliere pomodori (splendide le immagini in campo lungo in una sinfonia di gialli e verdi con musica ritmata) e poi in una fabbrica di esplosivi ma la pellicola si allontana subito da questo piano di realtà. Irrompe prepotente l’esoterico che abbinato al montaggio e ai tagli delle inquadrature, fanno precipitare lo spettatore in un vortice di smarrimento ed in particolare le scene finali (l’uccisione del vecchio ubriacone nel bosco e la successiva passeggiata di Robinson da solo in mezzo al grano e al sole dove brucia i soldi e si addormenta su una lapide) realizzano la vendetta di Venerdì invasore in un capovolgimento del libro di William Defoe e della sua visione colonialista, passatista e fascistoide degli indigeni.
Naufragio ha innovato l’immaginario spagnolo (e non solo!) sulle migrazioni focalizzandosi sulla dimensione spiritual-antropologica e sulle responsabilità coloniali ed è stato definito dalla critica un “manifesto cannibale”. Ebbene questi tratti si ritrovano con una dirompenza ancor maggiore in Demonios tus ojos dove la scena finale è una sequenza di Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato, film del 1980, crudele e lucido atto d'accusa contro la società contemporanea ed in particolare contro i mass media. Mentre all’estero ha ottenuto un enorme successo (addirittura in Giappone è secondo come incassi a ET!), in Italia, dopo la prima a Milano in cui furono imbrattate e strappate le locandine che raffiguravano la donna impalata, è stato censurato fino al 1984 e solo recentemente riabilitato dalla critica. Così nel 2003 Gordiano Lupi ha scritto: “Cannibal Holocaust infrange molti tabù cinematografici ed è uno di quei film che, con buona pace di puristi e benpensanti, danno spessore al cinema”, mentre Paolo Mereghetti nel suo dizionario del 2006 gli assegna due stelle e lo descrive “Un'operazione gelida e sgradevole, ma a suo modo abile: l'espediente del film nel film non solo avvolge di un alone inquietante da finto snuff la violenza mostrata, ma costituisce una precisa riflessione sulla prassi dei mondo movies una pietra tombale e una satira del genere. Cannibal Holocaust è un documento indiretto sul malessere dell'epoca e una tappa fondamentale per chiunque voglia riflettere sulla rappresentazione della violenza”.
Questi fotogrammi sottolineano gli istinti più ancestrali (mangiare, fornicare, uccidere), in parte andati persi o tenuti sotto controllo e indagano cosa succede quando dialogano con la parte razionale e quando invece si sostituiscono ad essa; sequenza finale perfetta per un film che affronta e rompe il tabù principale: l’incesto e la perdita dell’innocenza morale e contemporaneamente audio-visuale. Il film infatti segue un regista preda di un’ossessione erotica per la sorellastra (la splendida Ivana Baquero, bimba ne “Il labirinto del fauno” di Guillermo del Toro) in una raffinatezza e pulizia estetica che alterna primissimi piani, buio e fasci di luce e utilizza il formato 1:33, un formato claustrofobico che esalta la frustrazione audio visuale di uno sguardo che si è saturato.
E a proposito di attori c’è anche Julio Perillán, attore feticcio già in Naufragio
Naufraghi e cannibali in una trilogia antropologica con mille espliciti riferimenti cinefili tra cui l’ammirazione per Pasolini, uno dei tanti maestri che devono essere uccisi per poter continuare a lavorare in modo creativo.