Presentazione del film a Pesaro il 19 giugno 2017
A metà strada tra il film etnografico e il documentario, Sofíchka è il primo lungometraggio di una nuova cineasta russa, allieva di Sokurov, la giovanissima regista Kira Kovalenko. Il film inizia con una folgorante sequenza che condensa tutti i temi e le modalità narrative del film. I rituali del matrimonio mostrati nella scena, ben amalgamati dal montaggio che miscela sapientemente musica, immagini e suoni, diventano la perfetta sintesi di un accurato studio sugli usi e costumi di questa comunità durato un anno e mezzo e realizzato personalmente dalla Kovalenko: si veda, in proposito, l’intervista alla regista realizzata da Monica Macchi per Formacinema.
Lingua locale, indumenti, musica, oggetti di uso quotidiano, metodo di coltivare la terra e cibo (ci sono moltissime scene in cui si mangia) sono al centro di tutta la narrazione del film. Lo spettatore è immerso in questa comunità dove la quotidianità è al centro del racconto. La Seconda Guerra Mondiale, le deportazioni staliniste, i conflitti etnici all’interno del piccolo villaggio sono rappresentati attraverso gli occhi dell’istanza narrante, la matura Sofíchka, interpretata da Tsiala Inapshba. Quello che funziona nel film, infatti, è l’aver scelto di trasformare la durissima novella di Fazil Iskander in un flusso filmico scriteriato di ricordi, sensazioni e vicende percepite o vissute dalla vecchia Sofíchka che guarda e racconta se stessa da giovane all’interno della comunità rurale in cui vive. Il film, infatti, è ambientato in un piccolo villaggio dei monti abcasi, e si snoda attraverso i vent’anni della protagonista dal suo matrimonio con l’amatissimo Rouf al ritorno nel suo villaggio dopo una deportazione stalinista in Siberia. La macchina a mano e i colori desaturati e dunque sbiaditi riescono nell’intento di trasportare lo spettatore in un flusso di ricordi e di salti temporali molto coinvolgenti e originali che lo spettatore gradualmente riesce prima a percepire, poi a comprendere e infine ad apprezzare. Anche la scelta di trasformare la lingua russa della novella nel dialetto abcaso del piccolo villaggio è un intento estetico da attribuire alla regista che ha voluto dare un taglio etnografico alla pellicola. Il film, nei primi quindici minuti, è incentrato sulla necessità dell’istanza narrante di far conoscere il contesto sociale in cui è ambientata la vicenda.
La svolta del film arriva con la morte violenta del marito di Sofíchka che entra in casa sanguinante e stramazza a terra. Durante gli ultimi istanti di vita Rouf riesce a comunicare alla moglie che l’assassino è l’incestuoso fratello di Sofíchka, Nuri. Questo episodio è la chiave di volta del film, perché iniziano tutti quegli eventi che spingeranno la protagonista a effettuare delle scelte che la porteranno ad essere incriminata dal KGB e deportata in Siberia per vent’anni. Sin dalla prima sequenza, si intuiscono gli intenti narrativi sokuroviani grazie alla presenza in scena della vecchia Sofìchka che guardando se stessa da giovane mentre si veste per il matrimonio, pronuncia la frase “come ero bella”. Nel resto del film questa scelta narrativa rimarrà in piedi e darà vigore al racconto. Le due attrici che interpretano il ruolo della protagonista riescono a virare la recitazione in modo da restituire i sentimenti molto intensi vissuti dal personaggio. La solare e bellissima Lana Basaria interpreta la giovane Sofíchka ed è davvero impressionante nel donare naturalezza alla sua recitazione che riesce in tutti i momenti del film a restituire i sentimenti profondi vissuti dal personaggio. Oltre alla sequenza iniziale sono da segnalare due altri momenti del film, particolarmente riusciti da un punto di vista filmico. L’arrivo del cognato disertore nella casa di Sofíchka e l’interrogatorio subito dalla protagonista da parte del funzionario del KGB. Kira Kovalenko ha talento e siamo in fiduciosa attesa di vedere la sua prossima opera.
Kira Kovalenko, la giovane regista del film