“Non è un’iperbole.
Penso davvero che Khaled Abdalla
sia uno dei migliori attori della sua generazione”
Paul Greengrass
“Non si può parlare di cinema arabo senza parlare di politica.
L'attore che è in me usa la videocamera
per rappresentare la violenza di Stato
così come l'attivista politico che è in me fa film
per spostare la percezione della gente
Ogni terreno richiede una partecipazione diversa, naturalmente,
ma sono due facce della stessa medaglia”
Khaled Abdalla
Khaled Abdalla è nato a Glasgow nel 1980 e a 15 anni ha scoperto la passione per il teatro grazie ad un’insegnante che l’ha convinto a recitare nella piece “Observe the Sons of Ulster Marching Towards the Somme” di Frank McGuinnes…e da allora non ha più smesso. Nel 1998, ha diretto una produzione di “Someone Who'll Watch over Me” sempre di Frank McGuinness con cui ha ricevuto cinque stelle nel quotidiano The Scotsman, il più giovane regista di sempre ad ottenere questo riconoscimento. All’università ha co-fondato con Rebecca Hall una compagnia teatrale che ha vinto il Drama National Student Festival con la piece di Edward Albee “Chi ha paura di Virginia Woolf?”; ha poi interpretato il ruolo di Tamerlano il Grande nella compagnia teatrale Canon's Mouth, fondata nel 2003 da Peter Hall ed è andato a Parigi per un anno a seguire i corsi di Philippe Gaulier. Tutto focalizzato sul teatro, non pensava minimamente al cinema, finchè non ha incontrato Paul Greengrass che lo ha avvicinato e poi convinto a fare un provino per United 93, film sul volo della United Airlines dirottato negli attacchi dell'11 settembre.
Film candidato all'Oscar 2006 e vincitore del BAFTA che ha messo alla prova Abdalla non solo dal lato professionale come attore di cinema ma anche dal lato umano e politico: proveniente da una famiglia di oppositori dei governi egiziani (il nonno Ibrahim Saad El-Din economista di sinistra, è stato imprigionato più volte sotto Nasser e il padre Hossam, leader delle proteste studentesche degli anni Settanta, è finito in prigione sotto Sadat) si prende un anno sabbatico in Egitto lavorando ad Al-Ahram Weekly, studiando l'arabo classico, e girovagando per Marocco, Libano, Siria, Giordania e Palestina. Qui incontra lo scrittore Omar Robert Hamilton, uno dei fondatori del PalFest (Festival della Letteratura della Palestina) che pubblicherà a breve il suo primo romanzo “The City Always Wins” sulla rivoluzione e sui sogni di un’intera generazione di egiziani.
Tornati in Egitto, i due insieme a Tamer el Said, Lobna Darwish e altri attivisti, contribuiscono a fondare i Mosereen, un collettivo di citizen journalism diventato il canale You Tube no-profit più visto in Egitto, da cui sono usciti numerosi filmaker tra cui lo stesso Omar Robert Hamilton (regista di “Though I Know the River is Dry” vincitore del premio UIP al festival di Rotterdam 2013) e Leil Zahra Mortada, regista di Words of Women e portavoce di OpAntiSH, (Operation AntiSexual Harrasment) una campagna contro le molestie sessuali. Da questo progetto, in collaborazione con altri movimenti come “3askar Kazeboon”(cioè “i militari sono bugiardi”) è nato Tahrir Cinema piccoli schermi montati all’aperto in spazi pubblici con una serie quotidiana di proiezioni video per contrastare i racconti dei media ufficiali e mostrare quello che la tv di stato continua(va) a non mostrare. Così la visual artist Lara Baladi “Eravamo alla ricerca di tutto ciò che potesse fungere da schermo…compresi pezzi di legno e plastica! Aveva il fascino dell'impossibile diventato possibile”.
Piazza Tahrir è anche il luogo attorno a cui ruotano due docu-film che ne mostrano la trasformazione in uno spazio pubblico di autorganizzazione aperto a tutti e che hanno ricevuto numerosi riconoscimenti, “Tahrir-Liberation Square” di Stefano Savona e “The Square” di Jehane Noujaim, premio del pubblico al Sundance Festival e al Toronto International Film Festival del 2013 e candidato all’Oscar 2014 come Miglior Documentario in cui Khaled Abdalla interpreta se stesso. La telecamera oltre Khaled (con pietre e megafono alla mano) segue Ahmed, un sottoproletario, Magdy un Fratello Musulmano, Aida, una studentessa fashionista e Rami Essam un fino ad allora semi-sconosciuto studente di architettura che ha messo in musica gli slogan della piazza, è stato poi torturato e ora vive in Inghilterra. Non solo Khaled Abdalla è uno dei protagonisti , ma ha anche partecipato alla sceneggiatura, sua moglie Cressida Trew è una delle camera women e in una scena del film durante una conversazione via Skype col padre viene così apostrofato a proposito degli schermi in piazza “Ma che?!? Vuoi avviare una stazione televisiva?!?”
Invece di una stazione televisiva Khaled Abdalla fonda la Zero Production, una società di produzione cinematografica indipendente con Tamer El-Said, Hala Lotfy e Ibrahim El-Batout (di cui abbiamo già parlato qui https://formacinema.wordpress.com/?s=winter+of+discontent e qui http://www.formacinema.it/critica-internazionale/medio-oriente/egitto/egitto-2/224-el-batout-e-il-festival-di-venezia-2012) che è alla base dell’ondata di cinema non maistream e low budget che sta conquistando i Festival di mezzo mondo come ad esempio “Dry hot Summers”, corto che ha aperto il Festival Internazionale di Ismayilyya e ha vinto il Premio Robert Bosch Stiftung per la cooperazione internazionale nella sezione Talenti della Berlinale.
Zero Production è diventato anche un hub in collaborazione con Cimateque Alternative Film Centre, uno spazio nel centro del Cairo per “celebrare le diversità, la bellezza ed il potere del cinema” che comprende non solo proiezioni, ma anche discussioni, corsi, seminari, eventi aiuto nella produzione e post-produzione e la creazione di archivi con lo scopo di salvaguardare sia le eredità che le culture alternative sostenendo “la nostra immagine attraverso il cinema”. Infatti Khaled ha più volte affermato che “proprio attraverso il cinema, ho davvero cominciato a incontrare il razzismo e a soffrire per gli stereotipi con cui siamo visti: da quel momento sono diventato un attore arabo, ancor prima che egiziano, e ne è derivata una serie di responsabilità”. http://cimatheque.org/
Nel frattempo gira il film “Itar el-Layl” (titolo internazionale “The Narrow frame of Midnight”), vincitore del Gran Premio al 16° Festival Nazionale del Cinema di Tangeri e menzione speciale al First French Film Festival in Olanda.
Girato da Tala Hadid con la splendida fotografia di Alexander Burov (scelto dalla regista perché proveniente dalle scuole della cinematografia russa che “possiedono una concezione del tempo filmico molto diversa dalla nostra in grado di trasferire il tempo nell'immagine”) racconta di Aicha, un’orfana in balia di Abbas e Nadia, che incrocia Zacaria alla ricerca del fratello incappato nelle rete del fondamentalismo islamico e la sua fidanzata Judith. Il gruppo si muove dalle montagne dell’Atlante ad Istanbul, alle pianure del Kurdistan fino ad arrivare in Iraq attraversando mappe cinematografiche di passaggio ancora in bilico tra decolonizzazione e post-colonialismo, tra foto di Albert Camus, manifesti marxista e dettagli di interni finendo con lo splendido piano sequenza in campo lungo di bambini che giocano con la grazia della leggerezza inviolati e inviolabili dalle brutture del mondo adulto: un “ristabilire la fede nel mondo” per dirla alla Deleuze.
Con Tamer El Said è produttore e attore di The Last days of the city, ideato nel 2006 e più volte interrotto e poi ripreso per la guerra in Libano, la crisi finanziaria, la guerra a Gaza e la rivoluzione in Egitto. La ricerca del cast e della troupe è durata due anni e per far partire il progetto, hanno deciso di rinunciare allo stipendio. All’inizio si pensava a quattro mesi di riprese, invece ci sono voluti quasi tre anni visto che hanno prima dovuto creare le infrastrutture che permettessero loro di girare in 4 Paesi. Di questo film presentato in concorso a Pesaro, riparleremo presto!