ANNAMARIA LICCIARDIELLO: Sembra urgente la necessità di digitalizzare le collezioni di cinema d’arte e di cinema sperimentale iniziate da Adriano Apra’ sia per proteggere il materiale che rischiava di andare perso e disperso che per dare il giusto posto all’esperienza del legame tra arte contemporanea e immaginario del cinema…come dimostra anche la scelta di far realizzare la sigla del Festival di Pesaro da Virgilio Villoresi, profondamente influenzata dal cinema sperimentale statunitense
DARIO MARCHIORI: Il relatore ha cercato di sistematizzare il concetto di “Nuovo Cinema” così come emerso dalle diverse edizioni del Festival definendolo storicamente come “altro rispetto a quello mainstream, inventivo, internazionale, politicamente necessario, recente, altrimenti invisibile”. Attualmente invece perdono valore l’istanza dell’essere recente perché al contrario il Nuovo Cinema è anche un modo di riscoprire un passato dimenticato e dell’essere invisibile perché oggi si assiste ad una moltiplicazione di Festival:cioè che serve è un nuovo modo di pensare e allargare il concetto di cinema in una prospettiva transnazionale di metageneri come si propone la sezione “Lezioni di Storia a cura di Federico Rossin sui videoteppismi
EVA SANGIORGI: Si concentra sulla sua esperienza all’Università Nazionale del Messico dove da 6 anni gestisce un Festival Universitario di cinema che ovviamente non si rivolge solo agli studenti ma che è aperto alla ricerca e alla sperimentazione m anche al restauro e alla conservazione ribadendo una responsabilità politica militante anche in termini estetici
CECILIA ERMINI: Descrive le sue esperienze all’interno dei Festival sottolineando sia i rischi di fare le veci delle case di distribuzione, sia di evitare i clichè sui “film da concorso” contaminando gli sguardi primitivi con i trend del momento quando invece è il discorso formale che crea il contenuto come dimostra la scelta del film in concorso “Kaili Blues”
EVELISE PERNIOLA: Dalla sua prospettiva di docente universitaria si rammarica della scarsa conoscenza delle basi del cinema da parte degli studenti e propone alcuni modelli di cinema più connessi con le esperienze che i giovani hanno delle immagini in movimento per creare pubblici alternatici al pubblico dei cinefili. Il primo modello viene dal laboratorio di Sensory Etnography dell’Università di Harvard dove la ricerca sulla geografia e sul paesaggio ha prodotto un film come Leviathan del 2012; il secondo dall’antropologo e indigenista Vincent Carelli che usa le risorse audiovisive per modalità di auto rappresentazione dei popoli indigeni attraverso la de-gerarchizzazione dello sguardo ed infine il progetto Memofilm di Bologna (http://www.lavoroculturale.org/il-memofilm-la-creativita-c…/) dove il cinema costituisce un elemento terapeutico e curativo.
DANIELA PERSICO: Incentra il suo intervento sull’importanza del collegamento col territorio per realtà al di fuori delle grandi metropoli come Milano o Roma, sostenendo che la cinefilia si stia spostando rispetto alla sala e alla città tout court.
Monica Macchi, Pesaro 3 luglio 2016