Nov 22, 2024 Last Updated 10:19 AM, Oct 14, 2021

Prima pagina recensioni

BABYLON

 Babylon tendopoli prima pagina

Racconteremo una società che si autodistrugge.

 Babylonè l'impossibilità di incontrare le persone

Che significato può avere il cinema se non inventa l'ignoto?”

Babylon manifestoSCHEDA TECNICA


Registi
ismaël, Youssef ChebbiAla Eddine Slim
Durata: 119 minuti, colore
Sonoro: Mono
Formato di ripresa: DVCAM

Formato: 16/9
Design, immagine, produzione del suono: ismaël Youssef ChebbiAla Eddine Slim
Editing delle immagini
ismaël Ala Eddine Slim
Montaggio del suono e  mixaggio audioYazid Chebbi
Calibrazione immagineAmri Fakhreddine
Direttore di produzione: Chawki Knis
Produzione: Chawki Knis Ali HassounaAla Eddine Slim
Società di produzioneExit Productions

Paese: Tunisia
Anno di produzione: 2012
Lingue: arabo, inglese, francese, dialetti africani….

senza sottotitoli: i registi hanno deliberatamente scelto di non utilizzarli per far vivere allo spettatore la stessa sensazione di straniamento che provano i migranti;  loro per primi hanno dichiarato di non aver  capito parola perparola tutto ciò che viene detto ma di essersi lasciati guidare dal ritmo e dalla musicalità delle voci. 

 

Premi vinti

Grand prix  al festival internazionale di Marsiglia (9 luglio 2012)

Prix des universités  al festival international di Lisbona doclisboa 2012

Babylon si configura sia come un esperimento sul linguaggio che come un esperimento di utilizzo del materiale: infatti durante le riprese, i tre registi hanno diffuso in tempo reale tramite Internet video, fotografie, clip audio, testi open source invitando chiunque volesse, a riutilizzarli per creare nuove opere.  


Sono state fatte mostre sui diversi lavori e anche un film-concerto di Zied Meddeb Hamrouni in cui ha mixato dal vivo la colonna sonora originale del film.Questo film non recitato può essere dunque considerato un “ipertesto” o come ha scritto Vertov un “film che produce film” nel senso che ogni inquadratura può essere utilizzata per altre ricostruzioni. Del resto, la comprensione dell’immagine dipende dalla correlazione con quelle che la precedono (secondo il cosiddetto “effetto Kulešov”) e questo flusso organizza le percezioni ed i processi interpretativi dello spettatore. Inoltre Babylon sarà proiettato nell'ambito della mostra “Le Pont” ( http://www.mp2013.fr/evenements/2013/05/le-pont/) fino al 20 ottobre 2013 al Museo di Arte Contemporanea di Marsiglia (capitale europea della cultura 2013), un evento che ospita più di cento lavori di artisti provenienti da tutto il mondo (tra cui Marina Abramovich e Basquiat) sul concetto di migrazione e “deplacement”.

Babylon 1

Commenti sulla stampa internazionale

 Hichem Fallahcoordinatore generale del Festival Internazionale del Documentario di Agadir:  “questo è un oggetto non identificato né identificabile…sono stato stordito dalla sua forma poetica che offrealternativa radicale al trattamento filmico delle rivoluzioni arabe”.

 Hichem Ben Ammar, regista (un importante documentarista tunisino che ha appena presentato il suo ultimo lavoro al Festival di Cartagine con molto successo “J’en ai vu des étoiles” ): “il film esplora territori puramente cinematografici con una sperimentazione basata sul dubbio, sulla fragilità, sull'incompletezza; la suaviene dalla fiducia che ha nella capacità degli esseri umani di sopravvivere nel caos ed è un lavoro nel senso più pieno del termine che comporta una visione sul cinema e su un mondo costantemente minacciato.

The Hollywood Reporter“il film è di notevole interesse per i suoi audaci aspetti estetici e filosofici e per la sua preziosa testimonianza di documento storico”.

 Catherine Bizern, direttore ArtisticoFestival Internazionale di Belfort: “Un film eccezionale”.

 Tahar Chikhaouicritico cinematografico e professore universitario“Questo film è insieme una delizia ed una lezione di umiltà su un mondo creato e distrutto davanti ai nostri occhiche non abbiamo avutoo che non ci è stato dato, il tempo di vedereBabylon ci aiuterà a guardarlo”

 SitoMoMA (Museum of Modern Art di New York): “Visivamente sbalorditivonon-dogmatico, Babylon rivela un aspetto raramente visto delle rivoluzioni arabe”.

Sito del Festival Scope: “Questa visione senza compromessi sul contemporaneo tunisino è da non perdere.

 Il gruppo si propone di essere un “gruppo di auto-creazione” (in riferimento ai gruppi di auto-difesa” in cui si erano organizzati i tunisini), senza l'idea di girare un filmcon l’intento di “mettere gli occhi su un frammento di Tunisia che ha vissuto un tempo diverso e un evento diverso…siamo stati attratti dal campo così come andava emergendo tra due territori in rivoluzione, in una no revolution’s land….non crediamo che la rivoluzione sia un evento compatto e limitato nel tempo, al contrario è complesso e frammentato”. E mentre sono entrati in contatto col campo, i rifugiati ed il territorio circostante (non solo Choucha ma anche Zarzis, Djerba e Medenine), il film ha iniziato a prender forma, una costruzione formale che però non diventa pura osservazione perché, come hanno ribadito i registi, “non crediamo nel mito dell'oggettività, anche se  non abbiamo mai dato alcuna indicazione alle persone”.

Babylon tendopoliTendopoli che è la vera protagonista del film, un luogo effimero nato dal nulla in mezzo al nulla, destinato ad essere costruito per poi essere rapidamente distrutto, caratterizzato da un movimento incessante dei rifugiati, una galleria di personaggi senza alcun protagonista, che tagliano lo schermo come in una danza…Ed il movimento della danza permea di sé anche una delle sequenze più significative del film: il corteo di protesta dei bengalesi che si muove sinuoso come un serpente passandosi un corpo, non si riesce a capire se morto o svenuto; ma è presente anche nei piccoli spettacoli inscenati per passare il tempo e nella candela sotto la tenda in cui alcuni nigeriani parlano di Dio. Nel film si susseguono così inquadrature di “storie nella storia” che scivolano le une sulle altre senza dare alcun appiglio allo spettatore se non quello di lasciarsi sommergere dal flusso visivo e linguistico di un movimento effimero.Non si tratta quindi di una o più persone che raccontano lo spazio ma di uno spazio che racconta le persone inserite in un ambiente da cui traggono significato e che esalta le potenzialità delle immagini liberate dalla rigidità della parola. La scelta di raccontare attraverso la massa porta i registi ad utilizzare il campo lungo, le ombre e le sagome sfocate (come dimostra anche la locandina) per connotare esteticamente l’alienazione nella massa, alternandole sapientemente a zoom su dettagli che raccontano la vita nel campo: i momenti della preghiera e le lunghe code per il cibo rallentano il film e ben rappresentano la lentezza, fluidità e precarietà del destino e della permanenza dei migranti. Infatti il campo rappresenta un non-luogo di passaggio, anche se in realtà, a Choucha ci sono ancora diverse persone riconosciute come profughi che sono in attesa di venir “ricollocati” e 300 deboutés cioè “non-rifugiati” esclusi dal sistema di protezione ONU, che in un vero e proprio limbo giuridico aspettano lo smantellamento del campo previsto per il prossimo 30 giugno. Del campo di Choucha si è molto discusso anche nel recente “Forum di Tunisi” dove sono stati sollevate molte criticità tra cui la mancanza di assistenza giuridica nella compilazione delle domande, l'assenza di una commissione di controllo e le interferenze delle rappresentanze diplomatiche di Ciad e Nigeria; l’Onu da parte sua ha replicato proponendo ai deboutés il rimpatrio volontario assistito con pagamento del viaggio di ritorno e di una buonuscita o, in alternativa, la permanenza in territorio tunisino, con la possibilità di percorsi di inserimento professionale. 

Quando la maggior parte dei profughi se ne va, resta la tendopoli con il suo pavimento cosparso di spazzatura e con sacchetti di plastica che volano al vento, non una mera registrazione meccanica ma una costante colonna sonora che ha la capacità di esaltare le espressioni delle immagini. E visto che ogni opera d’arte si basa su una gerarchia dei mezzi utilizzati, il suono è qui al servizio di immagini ed azioni che prescindono dalla parola: del resto come ha scritto Arnheim: “Il dialogo costringe l’azione visiva a mettere in primo piano l’uomo che parla, otticamente sterile”. E l’importanza dei suoni emerge nel lungo lavoro di post-produzione: le riprese sono durate tre settimane con una trentina di ore di girato ma ci sono voluti circa dieci mesi per il montaggio. InBabylon vento parte per problemi finanziari (il film è interamente auto-prodotto), in parte perché non volevano essere risucchiati nel filone “primavera araba”, (ecco cosa mi ha scritto Ala Eddine in uno dei primi scambi di mail, presentando il film: Je note que notre film est un peu “loin” des sujets traitants du “Printemps Arabe”. Veuillez ne pas l'inclure comme un film “direct” sur “la révolution” tunisienne.) ma soprattutto per costruire il film seguendo il ritmo e la musicalità delle voci ed il lato crudo dei suoni della natura fa provare la sensazione di essere in un territorio inesplorato e sottolinea la differenza con le produzioni televisive.Babylon rompe infatti con la tradizione del cinema tunisino mainstream per queste scelte estetiche radicali, per la diffusione del materiale via Internet, per il fatto di essere autoprodotto senza sussidi statali ma anche per l’abbandono delle tematiche ormai cristallizzate (la vita sociale nella vecchia Medina, la famiglia conservatrice…) ed incentrate su tematiche sociali, che erano esattamente le stesse delle produzioni televisive delle “musalsalat” cioè delle telenovele mandate in onda durante il Ramadan per affrontare una spinosa questione politica. Il connubio tra l’accesso alle nuove tecnologie e la caduta di Ben Ali ha totalmente cambiato lo scenario sbloccando lo spazio pubblico caratterizzato dalla progressiva chiusura delle sale cinematografiche (dalle quasi duecento degli anni Settanta ne sono sopravvissute una manciata): ad esempio facendo rivivere la tradizione del cinema itinerante e realizzando una Carovana del film documentario o molti festival come quelli diRgueb o di Hergla. Ma soprattutto sono stati girati diversi film audaci e innovativi che hanno fatto molto discutere: tra questi “Anbou El Fosfato” di Samy Tlili sui lavoratori del bacino minerario di Redeyaf (e per poterlo far vedere agli abitanti della regione il regista e i suoi collaboratori hanno dovuto personalmente riaprire una sala chiusa da quasi trent’anni) e “Ni Allah, ni maître” di Nadia Al-Fani (dopo scontri, polemiche e minacce di morte, la regista ha deciso di cambiare il titolo in “Laicitè, inshallah”) sul ruolo della laicità come garante della diversità e della libertà di coscienza in una democrazia. Ma questa situazione di effervescenza e creatività cinematografica potrebbe cambiare a breve: è appena stata presentata una proposta di “Riforma per lo sviluppo del cinema e dell'audiovisivo in Tunisia” che prevede la creazione di uno sportello unico per il cinema e l’inasprimento dei requisiti richiesti alle case di produzione per accedere a forniture o sussidi. Chi contesta la legge sostiene che abbia un’ispirazione politica perchè il Governo sarebbe terrorizzato da questi nuovi cineasti che, come nel caso di Babylon, in piena autonomia girano video senza richiedere autorizzazioni o sovvenzioni statali e li condividono tramite Internet rendendoli immediatamente fruibili. Del resto che giustificazione artistica potrebbe avere la norma secondo cui le case di produzioni possono girare lungometraggi solo dopo aver girato un “numero sufficiente” di corti?!? E possono collaborare a produzioni straniere solo dopo aver raggiunto una “certa notorietà”?!? Gli oppositori puntano anche il dito sugli autori del progetto, definiti “un’accozzaglia di dinosauri e burocrati”, coinvolti nella degenerazione del cinema in Tunisia e che ora starebbero per completare l’opera svendendo quel che ne resta alla televisione e agli sponsor dei multiplex.

Macchi Monica e Paolo Castelletti

Nota. Tutte le citazioni dei registi sono state prese dal “Revue de Presse” del 14 febbraio 2013, spedito a Monica Macchi via mail da Slim Ala Eddine.



CARLO VERDONE

Verdone_homepage_a

INTERVISTA A CARLO VERDONE

In collaborazione con Filmstudio di Roma

http://www.filmstudioroma.com/index.php

Abbiamo incontrato il regista, sceneggiatore e attore romano nella storica sala del Filmstudio il 10 giugno 2012. Alle ore 12 in punto il regista si presenta, con il suo fedele motorino, davanti alla sala del glorioso cineclub, in un perfetto, quanto inaspettato, orario.·Grazie alla mediazione diPaolo Mereghetti (ascolta intervista), siamo riusciti ad ottenere un’intervista che aveva l’ambizioso obiettivo di tracciare un profilo inedito di Carlo Verdone.·Anzi del Dr. Carlo Verdone. Sapevate che era laureato? In che materia? Su cosa ha scritto la sua tesi? E·ancora. Sapevate che prima di Un sacco bello (1981) aveva diretto tre cortometraggi con uno stile·undergroud? Che titoli aveva scelto per questi corti? E poi…che film ha visto durante la sua adolescenza per formarsi come autore e filmmaker? Quali furono le origini del personaggio di Pasquale Ametrano di Bianco, Rosso e Verdone (1981)? Che rapporti ci furono tra Mario Verdone e Galvano Della Volpe? E Luigi Chiarini? Che opinione ha Carlo Verdone del cinema italiano e come vede il futuro della sale italiane?

Copertina

Le risposte del regista consegneranno al pubblico del nostro sito un ritratto davvero inusuale e inedito dell’autore delle più divertenti commedie italiane degli ultimi trent’anni. Persona colta, raffinata e cinefila, nel più profondo senso del termine, Carlo Verdone ci ha stupito per la sua gentilezza e cordialità, proseguita anche dopo la registrazione dell’intervista. ·Basti pensare che ci ha omaggiato della copertina e delle tre prime pagine della sua tesi di laurea, "Letteratura e cinema muto italiano" discussacon la Prof. Evelina Tarrone.·Puoi vedere, nelle foto allegate alla presente pagina, il documento esclusivo.

Per rendere ancora più coerente ed interessante il quadro, abbiamo avuto l’opportunità di girare l’intervista all’interno di un luogo caro al regista e a molti appassionati di cinema di tutta Italia (ascolta intervista a Ottavia Piccolo): il Filmstudio di Roma co-fondato da Americo Sbardella (ascolta intervista) e, in questo momento, gestito da Armando Leone.

Come riportato nella pagina internet del FilmClub “Hanno frequentato il Filmstudio numerosi cineasti e tra questi: Gianni Amelio, Gianni Amico, Michelangelo Antonioni, Dario Argento, Pupi Avati, Marco Bellocchio, Bernardo e Giuseppe Bertolucci, Liliana Cavani, Peter del Monte, Marco Ferreri, Jean Luc Godard, Pierre Clementi, Franco Brusati, Gregory Markopoulos, Salvatore Piscicelli, Pier Paolo Pasolini, Roberto Rossellini, Jean Marie Straub, Daniele Huillet, Paolo e Vittorio Taviani, Luchino Visconti. E dei veri e propri numi tutelari del Filmstudio sono stati: Alberto Moravia, Aldo Moro, Roberto Rossellini, Pier Paolo Pasolini, Bernardo Bertolucci, Michelangelo Antonioni, Jean Luc Godard e Jean Marie Straub.”

 
Verdone_A_20_anniCarlo Verdone ha frequentato in maniera assidua la sala di Via degli Orti d’Alibert 1/c, nel cuore di Trastevere, in giovane età. Fu il padre, il Prof. Mario Verdone, a spingere il figlio ad andare al Filmstudio a vedere i classici del cinema e le avanguardie per formare il suo gusto estetico e cinematografico. Come potete vedere nella foto qui a fianco (personale omaggio del regista), Carlo Verdone era ancora ventenne quando incominciò a frequentare la sala del Filmstudio.

Durante le riprese abbiamo anche realizzato un piccolo backstage che potrà raccontare ancora meglio le atmosfere gradevoli e stimolanti dell’incontro. Le foto sono di Armando Leone e Allegra Ponticelli.Clicca qui per vedere foto back stage.

Domande elaborate e conduzione intervista: Massimiliano Studer. Riprese e montaggio: Allegra e Pietro Ponticelli. Foto di scena: Armando Leone (Filmstudio) e Allegra Ponticelli.

Il presente prodotto editoriale è stato realizzato in collaborazione con il Filmstudio di Roma.·

Un ringraziamento particolare a: Paolo Mereghetti, Armando Leone e Americo Sbardella, Filmstudio e, ovviamente, Carlo Verdone.

Intervista a Carlo Verdone parte 1

Intervista a Carlo Verdone parte 2

Intervista a Carlo Verdone parte 3

Verdone_Massi_Pietro

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IBRAHIM EL BATOUT

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الشتا إللى فات –·The Winter Of Discontent

The cinema is like a great ocean. There is no way that you can understand it all. Every day you discover something new. But you cannot ever get to understand everything

We met Ibrahim el Batout·(http://ibrahimelbatout.com)·at his home in Zamalek and talked to him about الشتا إللى فات (The winter of discontent), his latest film will be presented on 31st August at the Venice Film Festival in the Horizons section.

This is the fourth film by Ibrahim el Batout after "Ithaki" (2005), "Ein Shams" (2008) and "Hawi" (2010), and represents a turning point in the career of Batout as it is the first to be shot with professional actors, a budget and a screenplay.

Not using a script has had important ripercussions on the work of Batout, in particolar on "Hawi", which has been very successful abroad, but has been banned in Egypt. Here Ahmed El Attar, general manager of Studio·Emad Eddin Foundation, explains the motivation for censorship in the broader context of government control on cultural policies

Ibrahim lived the Tahrir Square from Rotterdam, where he had gone to receive an award for Hawi. As soon as he returned to Egypt on February 10, he immediately began filming this new movie. In an·interview with Reuters, el-Batout explained that the film is not so much a mere chronicle of recent events Egyptians but rather the message that you can get out of suffering and you can emerge stronger. "In everything I've seen, I've only seen broken human beings, and broken souls," said el-Batout. "In Tahrir Square I saw people coming back to life".

062The film follows the intertwined stories of three young men – Amr, Adel and ·Farah -- on January 25 in a crescendo of surreal uncertainty and fear which is in contrast with the realism of some scenes, especially the opening scene. This reflects on the one hand the background of El Batout, a former physics student who later became an important documentarian (he was a finalist for the Sony International Impact Award 2003 for the documentary "Mass Graves in Iraq") and who –as he told us -- finds no difference between fiction and documentary, and on the other hand reflects his painful personal history (his brother was kidnapped and tortured for two weeks by the secret police)

 

Here's how El Batout himself tells us about his film

"Il cinema è come un grande oceano.·Non c’è modo che tu possa capire tutto.·Ogni giorno scopri qualcosa di nuovo.Ma non puoi mai arrivare a capire tutto" Ibrahim El Batout

Abbiamo incontrato Ibrahim el Batout··(http://ibrahimelbatout.com) nella sua casa a Zamalek e abbiamo parlato con lui di··الشتا إللى فات·(The winter of discontent) il suo ultimo film che verrà presentato il 31agosto al festival di Venezia 2012 nella sezione Orizzonti.

Questo è il quarto film di Ibrahim el Batout, dopo·Ithaki·(2005),·Ein Shams (2008) e·Hawi (2010), e rappresenta una svolta nella carriera di Batout in quanto è il primo ad essere girato con attori professionisti, un budget e una sceneggiatura.·Il fatto di non usare una sceneggiatura ha avuto importanti ripercussioni sul lavoro di Batout: in particolare su “Hawi” che ha avuto molto successo all'estero ma è stato vietato in Egitto: ecco come ci spiega Ahmed El Attar, general manger dello Studio·Emad Eddin Foundation·le motivazioni della censura inserendole nel quadro del controllo governativo sulle politiche culturali.

Ibrahim ha vissuto l’ esperienza di Tahrir da Rotterdam,· dove era andato a ritirare un premio per ·Hawi, e, appena tornato il 10 febbraio ha iniziato subito le riprese di questo nuovo film. 

In un'intervista alla Reuters, El-Batout ha spiegato che il film rappresenta non tanto una mera cronaca degli ultimi avvenimenti egiziani quanto piuttosto· il messaggio che si può uscire dalla sofferenza, e se ne può uscire rafforzati.· "In tutto quello che ho visto, ho visto solo esseri umani spezzati, e anime spezzate," ha detto el-Batout. "A Tahrir ho visto gente che tornava a vivere”

062Il film segue le vicende intrecciate di tre giovani Amr, Farah e Adel il 25 gennaio in un crescendo di·surreale incertezza e paura che fa da contraltare al realismo di alcune scene, in particolare della scena iniziale. Questo riflette da un lato il background di El Batout che dopo gli studi in fisica è stato un importante documentarista (è stato finalista per il Sony Impact Award 2003 internazionale per il documentario "Mass Graves in Iraq") e come ci ha detto non trova differenze tra fiction e documentario; e dall'altro dolorose vicende personali (suo fratello è stato rapito e torturato per due settimane dalla polizia segreta)

 

Ecco come El Batout stesso racconta il suo film

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